ATLANTIDE: mito o realtà? – approfondimento del romanzo ACQUA TAGLIENTE

Esistono innumerevoli libri su Atlantide. La maggior parte è robaccia che spaccia come reali ipotesi al limite della fantascienza che non possono contare su alcuna attendibilità scientifica. Consiglio, a chi intende approfondire, di muoversi tra le molte tesi con piedi di piombo e una buona dose di scetticismo.

Ritengo perciò ancor più prezioso il seguente articolo dello scrittore e studioso Roberto Negnini, che ho avuto la fortuna di incontrare personalmente. Il suo scritto è tra quelli che più mi sono stati d’ispirazione per il libro.

IL MITO DI ATLANTIDE
Realtà, sogno o leggenda?

 Considerazioni, domande e ipotesi di risposta

 di Roberto Negrini
(1993)

“I fondamenti primordiali dell’animo umano sono anche un ‘tempo primordiale’, quella profonda sorgente dei tempi in cui il mito ha il proprio vero ambiente e su cui fonda le norme e le forme elementari della vita. Poiché il mito è fondazione di vita è lo schema atemporale, la pia formula a cui la vita si adegua, riproducendo i suoi lineamenti dall’inconscio”
(Kàroly Kerenyi, filologo e storico delle religioni)

atla4Come le vaste e rivoluzionarie ricerche di Jung ci hanno insegnato, gli Archetipi dell’inconscio collettivo, che in qualche modo determinano lo sfondo e il carburante di ogni comportamento umano, possono essere decifrati attraverso il codice di lettura dei Miti che le diverse civiltà hanno prodotto. Una prima domanda, che dobbiamo porci rispetto alla leggenda di “Atlantide”, riguarda quindi la radice stessa del problema: quale valore può aver avuto e avere ancor oggi per noi (per la nostra storia personale e collettiva) il “mythos” di una “catastrofe primordiale”?

Uno dei Miti più longevi e influenti che la storia spirituale dell’umanità ci ha trasmesso è quello di una trascorsa Età dell’Oro: un “Paradiso”, uno stato originario di pienezza, felicità e perfezione dell’umanità vissuto su una Terra Beata e Gloriosa ma successivamente perduto dopo una qualche forma di decadenza e/o di catastrofe. Questo modo di concepire il Tempo Mitico, il passato più remoto, risulta innegabilmente poligenetico. Lo ritroviamo in ogni angolo del mondo, in ogni epoca, nella grande maggioranza delle culture: la Terra dei Sogni degli sciamani d’Australia, l’Isola-Tartaruga dei nativi nordamericani, la Valle dell’Eden dei semiti, l’Eldorado dei sudamericani, l’Isola di Avalon dei celti di cui si narra nelle affascinanti saghe europee del Graal. E lo ritroviamo più vivo che mai nelle leggende ricorrenti e persistenti dei cosiddetti “continenti scomparsi”, il cui modello primario nella storia della cultura occidentale è sicuramente l’Atlantide.

Nel IV secolo a.C. il filosofo Platone, per primo, nei dialoghi Timeo e Crizia parlò diffusamente della storia e della cultura di un continente esistito millenni prima, collocato nell’Oceano Atlantico oltre le Colonne d’Ercole e tragicamente scomparso in una sola notte, ricoperto dalle acque in seguito a una catastrofe naturale provocata dalla punizione degli Dei. La fonte delle notizie su Atlantide, secondo Platone, sarebbe il legislatore Solone, il quale le avrebbe apprese in Egitto a Sais da un vecchio sacerdote e poi raccontate al bisnonno di Crizia, uno dei personaggi dei due dialoghi.

Sintetizzando la descrizione di Platone, circa 9000 anni prima del nostro tempo – racconta dunque Crizia – esisteva un’altra Atene, grande e potente, fondata dalla Dea Athena e dal Dio Efesto: una Atene edificata sulla giustizia e sulla saggezza e di cui gli attuali ateniesi sono i discendenti. Tale città governava la coalizione di molti popoli che stavano al di qua delle Colonne d’Ercole, ma oltre quel confine esisteva un’isola, più grande della Libia e dell’Asia unite: Atlantide. Il centro di un Impero che dominava molte isole e parti del continente e che aveva esteso i propri domini oltre lo stretto, sulla Libia fino all’Egitto e sull’Europa fino all’Etruria. La grande civiltà di Atlantide era stata fondata dal Dio Poseidone, che giunto sull’isola a lui riservata quando gli Dei si erano spartiti il mondo si era congiunto a una donna mortale, Cleito, che aveva generato cinque coppie di figli, i primi dieci re di Atlantide, governati dal primogenito Atlante.

Il cuore di quell’Impero era una maestosa acropoli costituita da una montagna scavata dallo stesso Poseidone tutt’intorno, circolarmente, con tre cinte d’acqua e due di terra in modo da formare una serie di cerchi concentrici. Al centro dell’acropoli sorgeva il Tempio di Poseidone ricoperto d’oro e d’argento e ogni cinque o sei anni i discendenti dei dieci re che governavano le dieci regioni dell’Impero si riunivano in quel Tempio, intorno a una stele di oricalco su cui stavano incise le leggi primordiali, e vi sacrificavano un toro sacro per purificarsi con il suo sangue e amministrare le proprie terre secondo la giusta saggezza degli Dei.

Grande era la sapienza degli atlantidi e sconfinate le loro ricchezze. In quella terra gli uomini e le donne vivevano in conformità alle leggi divine in uno scenario di bellezza e felicità, fertilità e pace. Crizia si dilunga poi nella descrizione di porti, canali d’irrigazione, giardini, edifici d’immensa bellezza e raffinatezza, agricolture rigogliose e animali, tra cui gli elefanti. Con il passare dei tempi, però, quei popoli s’inorgoglirono e furono vittime della propria stessa grandezza, esaltando e coltivando sempre più il proprio benessere materiale. Divennero interiormente deformi, avidi e lontani dagli Dei, anche se la loro apparenza era di grande potenza e felicità. Ebbri di potere e di conquista i re di Atlantide mossero guerra all’antica Atene e ai suoi alleati, ma furono sconfitti. Infine gli Dei irritati per la loro decadenza e il loro orgoglio decisero di punirli e scatenarono uno spaventoso cataclisma, un diluvio che in una sola notte inghiottì Atlantide sotto le acque oceaniche. E in quella catastrofe tutto il mondo conosciuto fu sconvolto e anche l’Atene primordiale venne completamente distrutta.

Risulta evidente l’ambivalenza con cui Platone, quale esponente tipico della cultura del suo tempo, considera il ricordo o il simbolismo ancestrale di Atlantide. Ciò che il filosofo descrive, quali che siano le sue ignote fonti, è in realtà un universo simbolico frantumato, vissuto con nostalgia ma anche con repulsione.

L’orgoglio degli atlantidi… gli uomini e le donne che vogliono farsi Dei e Dee… la materia esaltata che vuole dilatarsi e rendersi indipendente dalle leggi divine costituite… la conseguente punizione annichilatrice da parte delle Divinità. È facile fare un raffronto con la Guerra di Zeus contro i Titani (oscuri Dei appartenenti a una generazione precedente alla sua) e con il mito semita degli “Angeli Caduti” e della “punizione” di Lucifero da parte del tirannico Yahweh.

Platone scrisse il Timeo e il Crizia nel 355 a.C. circa, già settantenne, ed è interessante notare che appena due secoli prima – ovvero dal 586 al 539 a.C. – gli ebrei monoteisti deportati in Babilonia dopo essersi culturalmente appropriati del Mito sumerico del Diluvio avevano iniziato a elaborare la figura del Satana, l’Angelo Luminoso caduto dal Cielo, demonizzando il loro principale Avversario, il Dio-solare babilonese Bel Marduk (figlio della Dea Drago Tiamat), e trasformandolo in Belial, il “mostro”, nemico di tutta l’umanità.

Come ampiamente dimostrato dalla mitologia comparata, la gran parte delle culture, pur in epoche diverse, è transitata ciclicamente attraverso quella particolare fase di evoluzione (o involuzione) del sacro in cui un culto di Dee Madri – stellari, lunari o telluriche – viene soppiantato da un culto di Dei Padri e guerrieri, spesso connotati da caratteristiche solari e nemici delle Madri cosmiche, che conseguentemente vengono demonizzate o trasformate in spose secondarie di Divinità maschili. A questo vediamo corrispondere radicali modificazioni del costume, delle leggi, della cultura e della stessa percezione interiore della Realtà. Il Mondo Primordiale Notturno dei sensi, degli istinti, della Libertà, della potenza e della Magia tramonta, o viene distrutto, o si “inabissa”, comunque si ritrae dietro i margini della coscienza, mentre la percezione del limite, della “legge spirituale”, del “conflitto dualistico” e quindi della sofferenza si spalanca alla luce del giorno nel mondo degli umani.

Abbiamo già ricordato che il mito greco raccontava di una guerra tra gli Dei Luminosi e Patriarcali dell’Olimpo e i Titani Primordiali, figli primogeniti della Dea Madre Gaia. Uno di questi Titani era il gigantesco Atlante, figlio di Giapeto e padre di quelle Esperidi nel cui Giardino dai Frutti Dorati è ravvisabile uno dei più evidenti modelli mitici di Terra Sacra scomparsa o nascosta: un Mondo o Spazio Sacro occultato alla vista dei mortali in quanto parte di una perduta (e temuta) dimensione preumana. Secondo il racconto metastorico di Platone, lo si è visto, primo re dell’Isola Meravigliosa e Maledetta posta oltre le Colonne d’Ercole fu il figlio primogenito di Poseidone e di una donna mortale e assunse anch’egli il nome dell’Antico Titano ribelle, Atlante, da cui poi quella terra derivò il nome di Atlantide. Lo stesso Poseidone, pur essendo un Dio olimpico e fratello di Zeus, conservava caratteristiche ibride semi-animalesche, tipiche di un universo mitologico e protostorico in cui la Notte, l’istinto, la sessualità ctonia e tutte le altre caratteristiche delle Grandi Dee Madri non erano state ancora emarginate e demonizzate. Il suo Tridente è lo stesso che possiede Shiva, Signore Oscuro dei miti della Valle dell’Indo e del Gange precedenti all’invasione “ariana”, e più tardi nel folklore cristiano diverrà l’emblema di Satana e dei Demoni di un mondo sconfitto.

Alla luce di queste considerazioni si potrebbe azzardare l’ipotesi che il primitivo Mito di Atlantide, raccolto, elaborato e riportato da Platone, sia l’eco di una serie di eventi naturali e politici connessi alla conclusione di un ciclo storico dominato da Archetipi Materni se non addirittura Matriarcali; la catastrofica distruzione di tale cultura potrebbe risultare giustificata e razionalizzata nell’immagine di una “degenerazione” e quindi di una “divina punizione”. Il racconto di Platone apparirebbe così metafora di una sovrapposizione patriarcale su precedenti forme di civiltà e cultura profondamente diverse rispetto a quelle conosciute dal filosofo. Un evento naturale – una delle numerose catastrofi geologiche registrate dal mondo antico, forse la più disastrosa mai ricordata – costituirebbe dunque il sostrato storico dei vari “Diluvi” ciclici, interpretato dai popoli successivi all’evento nella chiave legalistica, moralistica e patriarcale di una punizione divina contro i “malvagi”.  atlantide

Dobbiamo porci allora, a questo punto, una seconda domanda: perché, secondo tutte le mitologie della Terra l’umanità, così come la conosciamo, discende da Antenati Divini, potentissimi, sapienti e felici, poi successivamente o scomparsi, o nascosti, o decaduti, o distrutti da qualche catastrofe?

E nell’ipotizzarne una risposta ricordiamoci che l’origine generalizzata dell’Homo Sapiens dalle scimmie antropoidi teorizzata dall’evoluzionismo darwiniano è a tutt’oggi soltanto una delle ipotesi possibili, discutibile da molteplici punti di vista.

Il tentativo di negare, affermare o comunque codificare la realtà storica degli eventi descritti da Platone ha una sua lunga e affascinante storia che non abbiamo qui spazio per raccontare. Basti però ricordare che dai tempi di Aristotele (che per inciso non attribuiva alcuna veridicità al racconto del suo maestro Platone) questo tema ha occupato migliaia di pubblicazioni, ha scatenato in epoche diverse le fantasie più sfrenate, le utopie più affascinanti, le ricerche più puntigliose e le controversie accademiche più violente. E ancor oggi il problema resta insoluto. Molti commentatori di Platone hanno fatto rilevare che la creazione di un romanzo fantastico risulta totalmente aliena allo stile e alla mentalità del filosofo. È quindi da supporre che le notizie a lui pervenute, forse realmente dall’Egitto, estremamente dettagliate e circoscritte, al di là del loro indubitabile valore simbolico – di cui già abbiamo parlato – fossero quanto meno ritenute, in qualche modo,di origine storica e non esclusivamente mitica. La retrodatazione del mito sarebbe nata successivamente, con l’assimilazione di Atlantide all’Archetipo del Paradiso Perduto che, come abbiamo visto, dominava da sempre le più diverse culture.

Resta il fatto che l’ipotesi di una qualche realtà storica concreta alla base del racconto di Atlantide non è affatto peregrina o fantascientifica. Gli indizi rilevati attraverso i secoli e codificati soprattutto a partire dall’Ottocento da studiosi delle più diverse discipline sono numerosissimi e inquietanti. E molti dei grandi misteri dell’archeologia, dell’etnologia, della linguistica antica, della storia delle religioni e perfino della geologia potrebbero trovare soluzione se fosse dimostrata l’esistenza storica della scomparsa isola-continente di Poseidone.

L’acropoli di Atlantide, costruita su una montagna circondata da anelli concentrici, è certamente un simbolo di enorme interesse e analizzabile a vari livelli. Ma è impossibile non avere un soprassalto quando si apprende che in alcune pittografie azteche questo stesso simbolo appare per raffigurare la Patria Perduta di Occidente da cui il popolo azteco sarebbe provenuto, una terra chiamata in lingua azteca proprio Aztlan. Né va dimenticato che molte città precolombiane presentano una struttura che ricorda assai da vicino la descrizione platonica della capitale dell’Impero Atlantideo. E come poteva Platone affermare, nel IV secolo a.C., 1800 anni prima della cosiddetta “scoperta” delle Americhe, che “chi procedeva da Atlantide verso occidente si apriva il passaggio ad altre isole e da questo a un grande continente opposto”?

Le strette somiglianze tra l’architettura sacra dei popoli amerindi e quelle egizia e babilonese, soprattutto per quanto riguarda le Piramidi e le Ziggurath, sono fin troppo note. Meno nota è la strana rassomiglianza tra vari termini linguistici indigeni del centro e sud America e i corrispondenti termini asiatici, europei e africani. L’esistenza di una civiltà-ponte nell’Atlantico in tempi arcaici risolverebbe gran parte di tali problemi. E troverebbe così una sua spiegazione storica, oltre che mitica, il ricordo ancestrale e ossessivo del Diluvio, presente in quasi tutte le culture del mondo. Tale ricordo è particolarmente vivo nelle descrizioni sumerico-babilonesi (ereditate poi dagli ebrei nella loro Bibbia), come in quelle dell’America centrale ritrovate nel tempio maya di Palenque o nel codice-calendario di Chimalpopoca, dove si racconta che “il cielo calò verso l’acqua e in un giorno tutto ciò che era carne scomparve”.

Molti storici e scrittori dell’antichità confermarono sostanzialmente, anche se in modo diverso e talora indiretto, il racconto di Platone: tra questi Plutarco di Cheronea (46-120 d.C.), riferendosi a un’isola a cinque giorni di mare dalle coste britanniche, chiamata Ogigia e nominata pure da Omero come terra natale della ninfa Calipso; Ammiano Marcellino (330-395 d.C.), che ricordò come per gli alessandrini la distruzione di Atlantide fosse un fatto storico; e ancora Proclo (410-485 d.C.) e Diodoro Siculo (I secolo a.C.); e infine Erodoto (V secolo a.C.), che prima di Platone parlò di terre al di là delle Colonne d’Ercole.

Con l’avvento e l’imposizione politico-religiosa del Cristianesimo l’interesse per i Miti pagani andò bruscamente scemando, fino a estinguersi o a diventare clandestino, data la sua pericolosa contiguità con l’eresia. Inoltre secondo le autorità religiose dominanti in Europa per tutto il medioevo il mondo non poteva essere più vecchio di 4000 anni poiché quella era la cronologia desunta dai testi biblici: una civiltà esistita 9000 anni prima di Platone non poteva che essere un’invenzione del Demonio!

L’interesse per Atlantide risorse con la “scoperta” del Nuovo Mondo e alcuni credettero di ravvisare in quel novello continente raggiunto da Colombo la mitica isola di Platone. L’esistenza di una proto-civiltà saggia e felice attrasse l’interesse di alcuni eruditi sia del Rinascimento che di periodi successivi ed eccitò la creatività artistica di scrittori e poeti quale William Blake e, prima ancora, di filosofi scientifici come Francesco Bacone, che scrisse un romanzo utopistico venato di suggestioni rosicruciane chiamato appunto La Nuova Atlantide, pubblicato postumo nel 1627. Ma l’autentica esplosione d’interesse scientifico, parascientifico e filosofico-antropologico per Atlantide e per altri ipotetici continenti scomparsi di cui s’iniziò a parlare avvenne soltanto verso la metà dell’Ottocento.

Lo scrittore, studioso eclettico e politico americano Ignatius Donnelly (1831-1901) dopo un periodo d’intense ricerche nei più diversi rami dello scibile pubblicò nel 1882 il suo Atlantide: un mondo antidiluviano, nel quale dava per certa l’esistenza del continente scomparso, portando a suo credito un’enorme quantità d’indizi che considerava prove certe. Le civiltà precolombiane, quella egizia e molte altre – concludeva Donnelly – non erano che colonie atlantidee sopravvissute alla catastrofe. L’impatto sul mondo scientifico, così come sulla fantasia del grande pubblico, fu enorme e si può dire che fu dalla pubblicazione di questo libro che incominciarono a prendere corpo due opposte scuole di pensiero: quella che considerava Atlantide una certezza assoluta e quella che la negava con pari intensità. Ed entrambe, devote a un mito o a un anti-mito, furono caratterizzate da punte di fervore spesso confinanti con il fanatismo, mentre in parallelo l’idea-forza di civiltà e continenti “perduti” dava vita a interessanti ricerche su altre e ancor più arcaiche “Atlantidi”.

Dopo le ricerche di Darwin sulla localizzazione delle specie , tra il 1860 e il 1880, il geologo austriaco Melchior Neumayr e altri dopo di lui notarono che i lemuri – piccole protoscimmie – abbondano nell’isola di Madagascar, al largo della costa orientale del sud-Africa, ma sono anche presenti in India e nell’Africa Meridionale. S’ipotizzò così l’esistenza di un antichissimo continente, poi scomparso, che aveva collegato tali aree. Lo zoologo inglese Philip Sclater lo battezzò Lemuria e vari studiosi anche ben noti, come Alfred Russel Wallace e il naturalista Ernst Heinrich Haeckel, sostennero la validità di questa teoria.

A partire dal 1909 K.T. Frost, professore di storia classica alla Queens University di Belfast, ipotizzò che alla base del mito di Atlantide vi fosse la civiltà minoica. La teoria fu ripresa negli anni ’30 dall’archeologo greco Spiridon Marinatos, il quale suppose che la nota esplosione vulcanica avvenuta nel 1550 a.C. sull’isola di Thera (Santorini) fosse stata la causa dell’annientamento della civiltà minoica e avesse quindi generato il mito di Atlantide attraverso la mediazione di cronache egizie. Per giustificare la sfasatura temporale rispetto al racconto di Platone fu ipotizzato che i tempi fossero stati amplificati e portati dall’ordine delle centinaia a quello delle migliaia di anni (da 900 a 9000) a causa di un’errata traduzione dall’egizio al greco.

Nel 1864 uno studioso francese, l’abate Charles Etienne Brasseur, scoprì poi in una biblioteca di Madrid alcuni documenti da cui ritenne d’aver ricavato la chiave dell’alfabeto maya, a quell’epoca ancora sconosciuto. Attraverso la presunta decifrazione di alcuni codici l’abate Brasseur si convinse di aver scoperto la storia di un continente scomparso nel Pacifico in seguito a eruzioni vulcaniche e inondazioni all’incirca all’epoca descritta da Platone e chiamò tale continente con il nome di Mu. Le sue supposizioni vennero confermate dall’archeologo francese Augustus le Plougeon, che per primo aveva portato alla luce le rovine maya. Verso il 1870 un colonnello inglese di stanza in India e con interessi mistici ed esoterici, James Churchward, iniziò a occuparsene e le sue rivelazioni, desunte dalla decifrazione di misteriose tavolette che un sacerdote indiano gli avrebbe svelato, finirono con l’identificare – secondo alcuni – Mu e Lemuria.

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Tutto questo e molto altro ci porta a formulare una terza domanda: quando immaginiamo o intuiamo gli splendori e le glorie di un passato sconosciuto stiamo forse inconsapevolmente immaginando o intuendo anche splendori e glorie di un nostro auspicabile futuro?

Il fotografo americano Edgard Cayce (1877-1945), celebre medium, guaritore e chiaroveggente, durante una serie di trance vissute a partire dagli anni ’20 incominciò a descrivere le meraviglie spirituali e tecnologiche di Atlantide, confermando sostanzialmente ciò che già molte scuole occulte ed enclavi iniziatiche stavano sostenendo fin dai tempi di H.P. Blavatsky. Tra le altre cose Cayce profetizzò che alla fine degli anni ’60 alcune propaggini di Atlantide sarebbero riemerse nei pressi dell’isola caraibica di Bimini. E in effetti nel 1968 un gruppo di sommozzatori individuò nei fondali di quelle acque strane formazioni rettangolari in pietra e costruzioni apparentemente non naturali che sono tuttora oggetto di studio e la cui origine resta ignota. Al di là di soggettivismi e fantasie la vicenda di Cayce ci suggerisce così l’opportunità di un’eventuale forma interdisciplinare di ricerca che coinvolga sia gli aspetti archeologici e antropologici, sia quelli metafisici ed eventualmente magici.

Qualunque cosa sia stata o sia Atlantide, resta il fatto che nel suo Mito ritroviamo l’idea-forza di un passato grandioso quanto ambiguo, che forse soltanto oggi trova similitudini rapportabili all’idea del nostro futuro. In questo senso il viaggio alla ricerca di Atlantide è anche e forse soprattutto un viaggio alla ricerca delle radici della nostra coscienza etnica collettiva, un viaggio alla ricerca degli Archetipi che si nascondono dietro la nostra storia.

Forse l’intuizione onirica di Cayce e di molti altri veggenti e occultisti su una prossima rinascita di Atlantide va oltre il semplice concetto di una riemersione di antiche terre dall’oceano. Se Atlantide rappresenta infatti il nostro passato, può forse prefigurare e simbolizzare anche il nostro futuro.

Spesso il mito del Paradiso Perduto è stato utilizzato dalle autorità delle religioni costituite come monito moralistico contro una presunta degenerazione dei costumi. Ma alla conclusione del nostro viaggio vorremmo proporre una diversa prospettiva, che è anche la quarta e ultima domanda: se lo sviluppo di nuove Scienze e di nuovi Umanesimi, magari connesso al recupero di Saggezze antiche e perdute, portasse l’umanità oltre ogni limite, legge o religione, se noi stessi divenissimo padroni assoluti del nostro destino, del nostro corpo, della nostra anima, che tipo di Atlantide sapremmo costruire? E ancora: sapremmo difendere tali conquiste dagli attacchi di qualsiasi “Divinità” o “autorità” tirannica e dualistica, magari insidiosamente nascosta dietro i nostri oscuri sensi di colpa o conflitti interiori? Sapremmo essere all’altezza di un superiore tipo di civiltà che il Terzo Millennio d’Era Volgare potrebbe riservarci?

Leggenda, Sogno e Realtà probabilmente possono giungere a identificarsi. L’Atlantide storica giace forse addormentata sotto gli oceani. Ma l’Atlantide mitica dorme sicuramente dentro di noi, e ormai è pronta a svegliarsi

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